martedì 7 settembre 2010

Brick

Pellicola del 2005 di Rian Johnson.
Applauditissimo al Sundance Film Festival, l’esordiente Rian Johnson ripropone tutti gli elementi tipici del noir hollywoodiano degli anni ‘40. I protagonisti così magistralmente caratterizzati sembrano uscire direttamente dalla penna di Chandler o Hammett, con la sola differenza che non guidano grandi automobili nere in cerca di indizi indossando trench e Borsalino.
L’autore rischia e sorprende ambientando una storia decisamente noir in una high school nella assolata California, dove Brendan è un taciturno e riservato studente che, ricevendo una disperata richiesta di aiuto da parte della sua ex Emily, decide di intervenire rivelando man mano i torbidi retroscena che hanno portato alla scomparsa della ragazza. Il giovane decide di giocarsi il tutto per tutto e, aiutato dal fidato amico Brain, ci accompagna in un mondo pericoloso, popolato da giovani criminali e femmes fatale, in cui ad agire incontrastati sono “the Pin” e la sexy ed annoiata Laura. Accanto a loro appaiono, come nella miglior tradizione classica, personaggi rigorosamente stereotipati, dalla forte ambiguità e senza nulla da perdere, che coinvolgono il protagonista in una spirale delittuosa costringendolo a confrontarsi con la verità ed il pericolo. 
Il regista inizia con ritmo blando e atmosfera rarefatta, disegnando scenari subito comprensibili ai cultori del genere e costringendoci, con il passare dei minuti, a focalizzare l’attenzione sul ritmo serrato del dialogo, scandito dai continui spunti che il plot propone. Le numerose inquadrature dal basso ci suggeriscono un punto di vista sinistramente suggestivo e sembrano allontanare all’infinito l’orizzonte nei campi lunghi esterni, che mutano nello sguardo distaccato e smaccatamente bogartiano del protagonista. E proprio come i personaggi interpretati da Bogart, Brendan fa sempre la cosa giusta al momento giusto nonostante la forte pressione cui le vicende in cui è invischiato lo sottopongono.
Lo spettatore risulta obbligato a seguire con un certo impegno lo svolgersi della narrazione: è sufficiente un attimo di distrazione per perdersi nell’intricato e pirotecnico flusso di parole ed eventi che si susseguono, ritrovandosi a comprendere poco o nulla di quanto accade sullo schermo. Johnson ci ricorda con buona costanza la sua passione cinefila citando brillantemente, e in più di un’occasione, i classici noir e disseminando lungo il racconto numerose citazioni de “il mistero del falco” di Houston - basti pensare all’avviso “long-short-long-short”, alla sequenza in cui Brandon si rivolge più volte a Laura chiamandola “angel” o al falco in pietra sulla casella postale di “the pin” - rendendo la visione del film una vera delizia per gli appassionati del genere. Gli spettatori più attenti noteranno divertiti come - questa era la prassi nei film dei ’40 in pieno Production Code - durante tutti i 110 minuti del film non venga mai pronunciata alcuna volgarità. Solamente nell’ultima scena viene accennato un insulto greve che tuttavia non viene interamente pronunciato, lasciando forse intuire una propensione del regista verso la trovata ad effetto un po’ furbesca e, almeno in questo caso, fuori luogo. 
Il film scorre senza intoppi tra colpi di scena e momenti di calma apparente in cui il fattore confidenziale è tanto alto da aspettarsi che la sensualissima Laura si volti verso la macchina da presa e ammicchi allo spettatore attraverso l’obiettivo. L’altalenante ritmo narrativo risulta dunque ben gestito dal regista e funzionale al controllo della tensione che esplode nei frangenti più caldi del film. La sequenza finale, oltre a delineare i contorni esatti della realtà, svela una verità che fino a quel momento è lasciata solo intuire. Uscendo e rientrando nella testa di Brendan grazie ad un suggestivo gioco prospettico, Brain si rivela essere, come d’altra parte il nome suggerisce, null’altro che una proiezione mentale, la parte saggia e costantemente in controllo della situazione che permetteva al protagonista di restare sempre in equilibrio.
Realizzare film di questo tipo ad Hollywood sicuramente non è cosa facile visto il rischio elevato che l’operazione comporta. 
Rian Johnson sa benissimo che Brick non potrà mai essere considerato sullo stesso piano dei capolavori di genere del passato, ciò nonostante prova una soluzione personale: il risultato è un notevole e riuscito esempio di film indipendente. Film in cui vengono rivisitati gli aspetti più caratteristici ed inquietanti del noir e riproposti in chiave moderna e minimale, creando contesti rigorosi e certamente fuori dalla realtà ma mai caricaturali o scontati.

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